giovedì 12 giugno 2014

Ruzante, Parlamento


Parlamento de Ruzante che ier vegnú de campo,  Scena terza
Ruzante? Sei tu? Sei vivo ancora? Sei così stracciato, hai una tal brutta cera... Non hai guadagnato niente, vero o no?
Ruz.    Ma non ho guadagnato assai per te, se ti ho portato la carcassa viva?
Gn.      Oh, la carcassa! Mi hai ben pasciuta. Vorrei che tu mi avessi preso qualche gonnella per me.
Ruz.    Ma non è meglio che sia tornato sano di ogni membro, così come sono?
Gn.      Ma sì! Vorrei che tu mi avessi preso qualcosa. Su, ora voglio andare, ché sono aspettata.
Ruz.    Ma hai proprio una gran fretta! Aspetta un po'.
Gn.      Ma che vuoi che faccia qui, se non hai niente da fare con me? Lasciami andare.
Ruz.    Oh, canchero a quanto amore ti ho mai portato! Ti vuoi subito andare a imbucare, e non pensi che io sono venuto dal campo apposta per vederti.
Gn.      E ora non mi hai veduta? Non vorrei, a dirti il vero, che tu mi rovinassi, ché ho uno che mi fa del bene, io. Non si trovano mica ogni giorno di queste fortune.
Ruz.    Poh, ti fa del bene! Te l'ho pur fatto anch'io. Non ti ho mai fatto del male, come sai. Quello non ti vuole certo tanto bene come ti voglio io.
Gn.      Ruzante, sai chi mi vuol bene? Chi me lo mostra.
Ruz.    Ma sì, come se io non te l'avessi mai mostrato...
Gn.      Che mi fa che tu me l'abbia mostrato, e che non me lo possa mostrare adesso? Perché adesso ne ho anche bisogno. Non sai che ogni giorno si mangia? Se mi bastasse un pasto all'anno, potresti parlare. Ma bisogna che mangi ogni giorno, e perciò bisognerebbe che tu me lo potessi mostrare anche adesso, perché adesso ne ho bisogno.
Ruz.    Oh, ma si deve pur fare differenza tra uomo e uomo. Io, come sai, sono uomo dabbene e uomo compito...
Gn.      Sicura che la faccio! Ma c'è anche differenza tra star bene e star male. Senti, Ruzante: se io sapessi che tu mi puoi mantenere - che mi fa a me? - ti vorrei bene, io, intendi? Ma quando penso che sei un poveruomo, io non ti posso vedere. Non che voglia male a te, ma voglio male alla tua disgrazia; ché ti vorrei vedere ricco, io, acciò che stessimo bene, io e te.
Ruz. Ma se sono povero, sono almeno leale...
Gn.    E che me ne faccio, io, delle tue lealtà, se non me le puoi mostrare? Che vuoi darmi? Qualche pidocchio, forse?
Ruz.    Ma sai pure che, se avessi, ti darei, come ti ho già dato. Vuoi che vada a rubare e a farmi impiccare? Mi consiglieresti così?
Gn.      E tu vuoi che viva d'aria, e stia qua a sperare in te, e che muoia all'ospedale? Non sei mica un buon compagno, in fede mia, Ruzante! Mi consiglieresti così, tu?
Ruz.    Ma io ho una gran passione per te, io spasimo. Ma non hai pietà?
Gn.      E io ho invece una gran paura di morire di fame, e tu non ci pensi. Ma non hai coscienza? Ci vuol altro che vendere radicchio o borragine! Come faccio, in fede mia, a vivere?
Ruz.    Ma se tu mi abbandoni, morirò d'amore. Muoio, ti dico che spasimo...
Gn.      E a me l'amore m'è andato via, per te, pensando che non hai guadagnato come dicevi.
Ruz.    Hai ben paura che [la roba] ci manchi. Non manca mai, [se si va] a rubare...
Gn.      Eh sì, hai proprio un gran cuore, e triste gambe. Non vedo niente, io.
Ruz.    Ma sono appena arrivato qui...
Gn.      Ma sono pur quattro mesi che tu partisti.
Ruz.    E sono anche quattro mesi che non ti ho dato fastidio.
Gn.      Ma non è mica abbastanza questo che mi dài adesso, a vederti così miserabile? E poi sempre ne ho avuto, perché me lo immaginavo, io, che sarebbe andata così, che saresti tornato furfante.
Ruz.    Ma è stato per mia disgrazia...
Gn.      E portane anche la penitenza, tu. Vuoi che la porti io, vero, compagnone? Ti sembrerebbe giusto? Credo proprio di no.
Ruz.    Ma non ne ho già colpa io...
Gn.      Ma sì, l'ho io, Ruzante! Chi non si mette a rischio, non guadagna. Io non credo che tu ti sia cacciato troppo avanti per guadagnare; ché ti si vedrebbe pure qualche segno. Se Dio m'aiuta, [giurerei che] tu non sei nemmeno stato al campo. Tu sei stato in qualche ospedale. Non vedi che hai fatto la cera del furfante?
Men.    Vedete, compare, se è come vi dico io? Poi dite voi di [non] avere il viso tagliato o sfregiato. Non sarebbe stato meglio per voi? Così lei crederebbe che foste stato soldato e valoroso.
Gn.      Compare, vorrei piuttosto che avesse perso un braccio o una gamba, o [che gli fosse stato] cavato un occhio, o tagliato il naso, e che si vedesse che fosse stato avanti da valentuomo, e che l'avesse fatto per guadagnare, o per amore mio - intendete, compare? Non che io lo faccia, compare - intendete? - per la roba; ché a me [la roba] - intendete? - non può mancare. Ma perché pare che lui abbia fatto poco conto di me, che sia stato poltrone e si sia portato da poltrone, intendete? Mi promise di guadagnare o di morire, e invece è tornato come vedete. Non che io volessi, compare, che avesse del male. Ma chi crederebbe che fosse stato al campo?
Men.    V'intendo, comare. In nome di Dio, avete ragione. Glielo ho detto anch'io. Voi vorreste un segno che fosse stato avanti: almeno, così, una graffiatura...
Gn.      Sì, che potesse dire e mostrarmi: "Ho questa per amor tuo".
Ruz.    Oh, in malora la roba e chi mai la fece!
Gn.      Oh, in malora i dappoco e i traditori senza fede! Che mi avevi promesso?
Ruz.    Ti dico che sono stato disgraziato.
Gn.      Ora sì, Dio m'aiuti, che dici il vero. E io ora, che sto bene e che non sono disgraziata, per non diventare disgraziata, non voglio più impicciarmi con te. E fa' i fatti tuoi, che io farò i miei... Oh, peste! Vedi appunto il mio uomo. Lasciami andare.
Ruz.    Me ne infischio del tuo uomo! Non conosco altro tuo uomo al mondo che me.
Gn.      Lasciami andare, disgraziato, buono a niente, furfante, pidocchioso!
Ruz.    Vieni con me, ti dico che mi farai... Non mi fare infuriare! Tu non mi conosci: non sono più [tipo] da lasciarmi menare per il naso, come facevi.
Men.    Comare, andate via, che non vi ammazzerà.

Gn.      Vada a ammazzare i pidocchi che ha addosso!

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